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Alla Consulta la doppia contribuzione per i soci di srl

Si riporta l’ordinanza del 22 novembre 2010 della Corte di Appello di Genova (pubblicata sulla GURI – Prima Serie Speciale – n. 16 del 13 aprile 2011) con la quale viene sottoposta al vaglio dei Giudici delle Leggi la norma interpretatva dell’art. 1, comma 208, della L. 662/96, ad opera dell’art. 12, comma 11, D.L. 78/2010 convertito con modifiche dalla L. 122/2010. Sull’argomento si è registrata l’intervento della Corte di Cassazione, sezione Unite, sentenza n. 3240 del 12 febbraio 2010.

 LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA

Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura alla pubblica udienza del 17 novembre 2010 la seguente ordinanza.

Letti gli atti e sentite le parti nella causa in grado d’appello iscritta ai n. 754/2009 promossa da I.N.P.S.- S.C.C.I. c. Lucchesini Lucia e nei confronti di CERIT S.p.a., Concessionaria del Servizio di Riscossione mediante ruolo per le provincie di Firenze e Massa Carrara, la Corte osserva:

 

1. – I termini della controversia.

Con la sentenza n. 592 del 2008, il Tribunale di Massa respingeva l’opposizione proposta da Lucia Lucchesini a cartella di pagamento e ruolo per un importo di € 11.276,85 avente ad oggetto i contributi e

le relative somme aggiuntive richiestile a titolo di iscrizione alla gestione commercianti, per l’attività lavorativa svolta all’interno della Vilmo Martini Nuova Venti s.r.1, società che gestisce un negozio di vendita al dettaglio di confezioni per adulti ed accessori per abbigliamento in Carrara (Massa Carrara), di cui è vice presidente dei consiglio di amministrazione.

Nel contempo, accoglieva la domanda subordinata proposta dalla ricorrente, annullando l’iscrizione della Lucchesini alla gestione separata e condannando l’Inps alla restituzione della relativa contribuzione.

Avverso tale sentenza ha proposto appello l’Inps, che sostiene che l’iscrizione alla gestione separata di cui all’art. 2 comma 26 della legge n. 335 del 1995 eseguita dalla società, su cui ricadono i relativi obblighi di contribuzione, è collegata alla percezione del reddito da lavoro autonomo di’ amministratore, ed è cumulabile con ogni altra forma di assicurazione obbligatoria. Ne’ in contrario avviso varrebbe invocare l’art. 1 comma 208 della legge n. 662 del 1996, la quale, nel prevedere l’obbligo di iscrizione dei lavoratori

autonomi nell’assicurazione prevista per l’attività alla quale essi si dedicano in misura prevalente, sì riferisce ad attività di contenuto omogeneo, ovvero che si caratterizzano sotto l’aspetto qualitativo per una stessa tipologia di apporto professionale, e che differiscono unicamente per i diversi settori produttivi nei quali sono inquadrabili (come è il caso del soggetto che svolge sia attività di artigiano che di commerciante).

Aggiunge che la contribuzione dovuta alla gestione separata dei collaboratori e professionisti fa carico alla società che agisce quale sostituto d’imposta, e che è l’unico soggetto che potrebbe richiedere la restituzione della contribuzione.

Conclude pertanto affinché’ venga parzialmente riformata la sentenza appellata e respinta anche la domanda subordinata proposta in primo grado.

Si è costituita Lucchesini Lucia, che propone appello incidentale sostenendo di non essere obbligata all’iscrizione alla gestione commercianti , non sussistendo i requisiti previsti dai comma 203 della L. n. 662 del 1996, in particolare non essendo socia della società, non essendo familiare coadiutrice di un socio che vi presti la propria attività lavorativa (non lavorando la madre Luana Baccioli, soda di capitali, nella società), e svolgendo inoltre le proprie incombenze gestionali in esecuzione dell’incarico di amministratore.

Chiede quindi che la sentenza di primo grado venga totalmente riformata ed in subordine che sia respinto l’appello dell’Inps, essendo preclusa la doppia contribuzione dall’art. 1 comma 208 della legge n. 662 del 1996.

 

2. – La normativa applicabile ed il giudizio di rilevanza della legittimità costituzionale l’art. 11, comma 11 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 30 luglio 2010, n. 122).

Risulta dagli atti del processo che Lucchesini Lucia, figlia della socia Baccioli Luana, è vicepresidente della s.r.l. Vilmo Martini Nuova Venti, svolgendo tutte le relative attribuzioni, e si occupa anche della vendita all’interno del negozio di abbigliamento in Carrara il cui esercizio costituisce l’oggetto sociale.

Sussisterebbero quindi i presupposti per l’iscrizione alla gestione commercianti previsti dall’art. 1 comma 203 della legge 23 dicembre 1996 n. 662, non potendosi ritenere che l’attività di vendita nel negozio (affidata peraltro in via esclusiva alla Lucchesini ed al presidente del consiglio di amministrazione sig. Sergiampietri) sia svolta nell’esercizio dei compiti di gestione propri del vicepresidente.

E’ pacifico peraltro che la stessa e’ iscritta, per lo svolgimento dell’attività di amministratore, alla gestione separata prevista dall’art. 2 comma 26 della legge 335 del 1995.

Si rende quindi necessario per la decisione degli appelli (principale e incidentale) valutare se sia o meno applicabile alla fattispecie l’alt. 1, comma 208, della legge n. 662 del 1996, che casi dispone:

«Qualora i soggetti di cui ai precedenti comari esercitino contemporaneamente, anche in un’unica impresa, varie attività autonome assoggettabili a diverse forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, sono iscritti nell’assicurazione prevista per l’attività alla quale gli stessi dedicano personalmente la loro opera professionale in misura prevalente. Spetta all’Istituto nazionale della previdenza sociale decidere sulla iscrizione nell’assicurazione corrispondente all’attività prevalente. (…)».

La soluzione negativa proposta dalla difesa dell’Inps è stata smentita dalla sentenza n. 340 del 12 febbraio 2010 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che, risolvendo il contrasto di giurisprudenza insorto nella Sezione Lavoro, ha affermato il seguente principio di diritto:

«Al socio di una società a responsabilità limitata che eserciti attività commerciale nell’ambito delle medesima e, contemporaneamente, svolga attività di amministratore, anche unico, si applica la regola dettata dall’art. 1, comma 208, della legge n. 662 del 1996, secondo la quale i soggetti che esercitano contemporaneamente, in una o più imprese commerciali, varie attività autonome assoggettabili a diverse forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, sono iscritti nell’assicurazione prevista per l’attività alla quale gli stessi dedicano personalmente la loro opera professionale in misura prevalente. La scelta dell’iscrizione nella gestione di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, o nella gestione degli esercenti attività commerciali, ai sensi dell’ art. 1, comma 203, della legge n. 662 del 1996, spetta all’INPS, secondo il carattere di prevalenza, e la contribuzione si commisura esclusivamente ai redditi percepiti dall’attività prevalente e con le regole vigenti nella gestione di competenza».

Non vi è dubbio che tale principio dovrebbe applicarsi anche alla presente causa, benché’ il soggetto cui la doppia iscrizione si riferisce non sia un socio, ma il familiare coadiutore di un socio che svolge attività di amministratore e contemporaneamente esercita nell’impresa l’attività di vendita, poiché’ sussistono i medesimi presupposti e la normativa applicabile è la medesima.

Occorrerebbe quindi valutare quale delle due attività (di amministrazione o di vendita) sia svolta in misura prevalente, onde accertare quale sia la gestione previdenziale cui la Lucchesini deve essere iscritta.

Nelle more della giudizio d’appello è tuttavia entrato in vigore l’art. 12, comma 11 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 30 luglio 2010, n. 122 che così dispone:

«L’art. 1, comma 208 delta legge 23 dicembre 1996, n. 662 si interpreta nel senso che le attività autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all’assicurazione prevista per l’attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell’lnps.

Restano, pertanto, esclusi dall’applicazione dell’art. 1, comma 208, legge n. 662/96 i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui all’art. 2, comma 26, legge 16 agosto 1995, n. 335».

In forza della citata norma, secondo il suo chiaro tenore letterale e sulla base della “ratio” della sua introduzione, finalizzata ad incrementare il gettito contributivo dell’lnps, come meglio si dirà oltre, deve ritenersi che il giudizio di prevalenza previsto dall’art. 1 comma 208 della legge n. 662/96 sia escluso per i casi di soggetti iscritti contemporaneamente alla gestione commercianti e separata, dovendosi applicare solo per il caso di concorrenza tra attività ascrivibili alle gestioni artigiani, commercianti e coltivatori diretti.

Applicando la disposizione da ultimo citata, il che si impone per la sua dichiarata natura interpretativa anche in relazione a fattispecie precedenti la sua entrata in vigore ed al presente giudizio già pendente, la soluzione della controversia dovrebbe essere la legittimità della (doppia) pretesa contributiva dell’I.N.P.S.

E’ pertanto rilevante ai fini della decisione il vaglio di legittimità costituzionale di tale norma.

 

3. – La non manifesta infondatezza dell’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 11 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito in legge, con modificazioni, dalle art. 1, comma 1, legge 30 luglio 2010, n. 122).

Questa Corte dubita della legittimità costituzionale della disposizione di legge interpretativa, in primo luogo per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’ad. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (infra, anche CEDU o Convenzione europea).

Premessa necessaria a tale conclusione è l’approdo cui è giunta la giurisprudenza costituzionale con le sentenze n. 348 e 349 del 22 ottobre 2007, secondo il quale «il nuovo testo dell’art. 117, primo comma, Cosi, se da una parte rende inconfutabile la maggior forza di resistenza delle norme CEDU rispetto a leggi ordinarie successive, dall’altra attrae le stesse nella sfera di competenza di questa Corte, poiché’ gli eventuali contrasti non generano problemi di successione delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimità costituzionale».

Se quindi il giudice ordinario ritenga il contrasto tra una norma nazionale e la normativa CEDU, egli non ha il potere di disapplicare la prima, poiché’ l’asserita incompatibilità tra le due da’ luogo ad una questione di legittimità costituzionale, e quindi ha l’obbligo di rimettere al giudice delle leggi l’esame dell’eventuale violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

Ritiene questa Corte che il contrasto con il citato art. 6 possa nel caso fondatamente ipotizzarsi.

Tale norma internazionale sancisce il principio del diritto ad un giusto processo dinanzi ad un tribunale indipendente ed imparziale, ed i suoi significato e portata sono stati chiariti nella sentenza della Corte Europea di Strasburgo nella causa Scordino c. Italia n. 36813/2007. Giudici di Strasburgo non hanno escluso che in materia civile il legislatore possa intervenire con norme dotate di efficacia retroattiva, ma hanno aggiunto che ciò è possibile solo quanto l’intervento sia giustificato da “superiori motivi di interesse generale”, quale non può considerarsi quello meramente “di cassa” che nel caso aveva determinato il mutamento dei parametri per la determinazione dell’indennità di esproprio di cui si discuteva in causa.

Nella fattispecie in quella sede esaminata, la novella introdotta con efficacia retroattiva, ritenuta in contrasto con la normativa CEDU, aveva modificato radicalmente una disciplina dell’indennità di

espropriazione che aveva determinato l’intervento della Corte costituzionale e molte conseguenti incertezze giurisprudenziali ed aveva anche lo scopo di consentire la definizione delle numerose

controversie pendenti. Tali finalità non sono state ritenute dalla Corte idonee a legittimare l’intervento sui processi in corso.

Diversamente, nel caso deciso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 311 del 2009, è stata ritenuta preminente l’esigenza, perseguita dalla normativa di interpretazione autentica del regime

del personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (c.d. ATA) contenuta dell’art. 1, comma 218, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, di armonizzare situazioni lavorative tra loro differenziate all’origine, conformemente al principio di parità di trattamento di situazioni analoghe nella disciplina dei rapporti di lavoro pubblico, tenuto conto del fatto che la vicenda normativa non determinava una reformatio in malam partem di una situazione patrimoniale in precedenza acquisita, dal momento che i livelli retributivi già raggiunti venivano oggettivamente salvaguardati.

Nel caso che ci occupa, il legislatore nazionale ha emanato una norma dichiaratamente interpretativa in presenza di un notevole contenzioso e dell’intervento risolutivo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sfavorevole all’Inps, in tal modo violando il principio di «parità delle armi» tra le parti processuali.

Il fine che ha governato l’intervento del legislatore, come risulta evidente dalla stessa premessa al D.L. n. 78 (“Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all’evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché’ per il filando della competitività economica”), è stato certamente quello di aumentare il gettito contributivo dell’Inps, che si sarebbe visto soccombente nelle controversie in merito alle quali operava il principio dettato dalle sezioni Unite.

Ne’ sussistevano “superiori motivi di interesse generale”, legati alla tutela di preminenti interessi della collettività, come nel caso del personale ATA, ne’ l’esigenza di chiarire un’oggettiva ambiguità del testo della norma, dal momento che le stesse Sezioni Unite nella sentenza n.3240 del 2010 già citata, hanno ritenuto che “non è ravvisabile alcun riferimento ne’ letterale, ne’ logico, ne’ sistematico, che valga a circoscrivere il principio della “prevalenza” e quindi dell’unica iscrizione, esclusivamente alle attività miste di artigiano e commerciante”.

Questa Corte ritiene inoltre che la norma in esame leda, con la sua efficacia retroattiva, il canone generale della ragionevolezza delle norme (art. 3 Cost.), l’effettività del diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24, primo comma, Cost.), l’integrità delle attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria (art. 102 Cost.), la parità delle parti processuali (art.111, secondo comma, Cost).

La Corte Costituzionale ha infatti più volte ribadito che il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche «quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore» (v. da ultimo sentenza n. 2009 del 7 giugno 2010).

Accanto a tale caratteristica, che vale a qualificare una norma come effettivamente interpretativa, la stessa Consulta ha individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, “che attengono alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della nonna e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento […]; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto […]; la coerenza e le certezza dell’ordinamento giuridico […]; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario” (sentenze n. 2009 del 2010 e 397 del 1994).

Il confronto tra la disposizione censurata ed i principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale porta a dubitare che sussistessero nel caso i presupposti per l’emanazione di una norma interpretativa di portata retroattiva, in quanto – secondo la ricostruzione effettuata nella più volte citata sentenza delle Sezioni Unite- la previsione è stata introdotta proprio a fronte dell’introduzione da parte della medesima legge dell’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti del socio, per non gravare eccessivamente l’attività di lavoro autonomo nei frequenti casi di attività di modeste dimensioni e produttive di modesti redditi (tenuto tra l’altro conto del fatto che per l’assicurazione commercianti, quale che sia il reddito ricavato, la contribuzione non può scendere al di sotto di una certa soglia – art. 6 comma 7 legge n. 415 del 1991).

La tensione in cui si pone I’ intervento del legislatore con le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria appare poi evidente, sol che si consideri che esso è stato realizzato con normativa d’urgenza, emanata a pochi mesi di distanza dalla pronuncia sulla questione del massimo organo di nomofilachia, costituita dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 340 del 2010 sopra citata, che ha disatteso la tesi sostenuta dalla difesa dell’Inps negli innumerevoli giudizi analoghi pendenti.

Pertanto, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 11 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito in legge, con modificazioni, dall’ art. 1, comma 1, L. 30 luglio 2010, n. 14) per violazione dell’art. 117 della Costituzione, in relazione all’art. 6 CEDU come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, nonché’ degli artt. 3, 24 primo comma, 102 e 111 secondo comma della Costituzione, si dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e la sospensione del presente giudizio.

 

P. Q. M.

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 11 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 30 luglio 2010, n. 122) per contrasto con l’art. 117 primo comma della Costituzione in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché’ con gli artt. 3, 24 primo comma, 102 e 111 secondo comma della Costituzione.

Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente giudizio.

Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministeri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Genova, addì 17 novembre 2010.

 

Il Presidente: De Angeslis

 

Il Consigliere relatore ed estensore: Ghinoy